La sostanza attiva di un CPC non dev’essere segnalata nella AIC

In C-631/13, la CGCE ha già detto che l’articolo 3, lettera b), del regolamento n. 469/2009 deve essere interpretato nel senso che osta al rilascio di un certificato protettivo complementare per un principio attivo il cui effetto non rientra nelle indicazioni terapeutiche riportate nel testo dell’autorizzazione di immissione in commercio.

L’articolo 1, lettera b), del regolamento n. 469/2009 deve essere interpretato nel senso che una proteina vettrice, coniugata ad un antigene polisaccaridico per mezzo di un legame covalente, può essere qualificata come «principio attivo», ai sensi di tale disposizione, soltanto qualora sia dimostrato che tale proteina produce un effetto farmacologico, immunologico o metabolico proprio, rientrante nelle indicazioni terapeutiche dell’autorizzazione di immissione in commercio, circostanza, questa, che spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce di tutti gli elementi di fatto che caratterizzano la controversia principale.

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Ora la Corte Suprema Austriaca ha nuovamente illuminato il regolamento su CPC n. 469/2009 (Corte Suprema, 4Ob20/15t).

Nella domanda in questione, un CPC era richiesta per una proteina D, la quale è la proteina vettrice coniugata con altre sostanze attive. Il legame covalente con altri principi attivi non esclude il rilascio di un CPC.

Dopo un’analisi della ordinanza di rinvio, il parere della Commissione Europea e la sentenza della Corte Europea, la Corte Suprema ha chiarito che nei limiti della autorizzazione di immissione in commercio (AIC), la proteina D deve mostrare un effetto farmacologico, immunologico o metabolico proprio, ma non è necessario che la proteina D sia anche esplicitamente menzionata nella AIC.

Per verificare questo, il caso è stato rimandato in primo grado.